Staff Friulani.Net Storia del Friuli

Storia del Friuli (6p.) Epoca moderna

Come fu tardivo il Rinascimento, anche l’industrializzazione del Friuli fu lenta e spesso ostacolata dagli stessi veneziani. Più rapido sarà invece lo sviluppo economico di Gorizia, favorita al contrario dal governo austriaco che intervenne più volte direttamente nel processo di espansione economica, concedendo ai produttori ampie libertà.

Anche a Udine però qualcosa stava cambiando; nel 1762 viene fondata la “Società di agricoltura pratica” che riuniva studiosi di agronomia, selvicoltura, economia e proprietari agrari. Fu la seconda in Italia dopo quella dei Georgofili e presto divenne modello per altre società del vicino Veneto. Qualche anno dopo (1765) anche Gorizia si doterà di una Società Agraria con l’intento di migliorare la propria produzione agricola.

In Friuli sarà incentivata la coltivazione della patata e l’estrazione della torba e nuovo impulso sarà dato alla coltivazione dei gelsi (alimento base per i bachi da seta), sostenendo così la produzione tessile, che ancora per lungo tempo sarà l’unica vera risorsa industriale friulana.

Il panorama politico stava nel frattempo mutando.

Il Patriarcato di Aquileia era stato soppresso (1751) da Benedetto XIV ed al suo posto erette le Arcidiocesi di Udine e di Gorizia. Venezia accerchiata dagli austriaci e dai francesi stava capitolando.

Nel 1797 si contesero il Friuli le truppe dell’Arciduca Carlo e quelle di Napoleone. Furono queste ultime ad avere la meglio penetrando in Friuli, saccheggiandolo e sottraendo molte opere d’arte.

Il 17 ottobre dello stesso anno con la Trattato di Campoformio (dizione veneta di Campoformido) Napoleone cedeva il Friuli all’Austria, per poi riprenderselo nel 1805 incorporandolo nel Regno Italico insieme a Gorizia e Gradisca (1809).

La breve dominazione francese portò all’abolizione dei privilegi feudali e ad una riorganizzazione amministrativa.

Con il Congresso di Vienna (1815) il Veneto, il Friuli e parte della Lombardia andarono a costituire il Regno Lombardo-Veneto sotto il controllo austriaco. Pochi anni più tardi (1838) il mandamento di Portogruaro, da sempre friulano, sarà assegnato alla Provincia di Venezia, quindi il Comune di Sappada alla Provincia di Belluno (1852).

L’economia del Friuli continuava ad essere estremamente fragile e per nulla agevolata dalla separazione “psicologica” indotta dagli austriaci tra Friuli Occidentale ed Orientale.

Il 26 luglio 1866 truppe italiane entrano ad Udine accolte dalla classe dirigente locale. I contadini rimasero invece indifferenti da questa nuova “invasione”, forse non a torto, visto che in poco tempo l’esercito “liberatore” cominciò ad italianizzare tutti i toponimi locali. Ciò nonostante, l’arrivo degli italiani permise la realizzazione di imponenti opere come la costruzione della linea ferroviaria Udine-Pontebba (1873-1879), Udine-Cividale (1886), la Udine-Palmanova-Latisana-Portogruaro (1888) ed infine la Gemona-Spilimbergo-Casarsa (1890).

Nonostante il tentativo di far decollare l’economia locale, a partire già dal 1858 la principale industria friulana, quella serica , subì una gravissima crisi a causa di una virulenta malattia che colpì i bachi da seta. La perdita di gran parte dei ricavi costrinse molti contadini ad emigrare all’estero. Saranno così oltre 90.000 i friulani che lasceranno la “madrepatria” tra il 1885 ed il 1914.

All’arrivo degli italiani, il Friuli storico coincideva per il 95% con la provincia di Udine, la più estesa d’Italia. La lingua friulana era parlata ancora da oltre i tre quarti della popolazione.

Non tutto il Friuli era però italiano. La contea di Gorizia e Gradisca rimanevano ancora saldamente nelle mani austriache. E’ così che nei circoli irredentisti milanesi venne coniato il termine “Venezia Giulia” per indicare l’insieme delle terre abitate da persone di lingua e cultura italiane ma soggette all’Austria, tra queste vi erano la contea di Gorizia e Gradisca, il Carso, Trieste e l’Istria.

I confini cambiarono allo scoppiò della prima guerra mondiale (1914) che farà ancora una volta del Friuli un sanguinoso campo di battaglia. Dopo alterne vicende il 3 novembre 1918, a Villa Giusti, presso Padova l’esercito austriaco firmava l’armistizio ed il giorno seguente il generale italiano Armando Diaz annunciava la vittoria. Il Friuli veniva così finalmente riunificato, ma questo purtroppo sarà l’unico vantaggio di una terribile guerra. I morti friulani saranno oltre 1.500, più di 5.000, invece, i mutilati e gli invalidi. La guerra distrusse completamente il sistema economico friulano determinando così un irrimediabile ritardo di sviluppo nel confronto delle altre regioni italiane.

Seguirono anni di crisi economica, segnati dall’avvento del fascismo accolto, all’inizio, da un crescente consenso. Il fascismo impresse nei friulani la mentalità statale, completando così il processo di italianizzazione. Nel 1923 le provincie di Udine e Gorizia furono riunite della Provincia del Friuli con grande contrarietà della città di Gorizia e della stessa città di Trieste che aspirava ad annettere entrambe nella “Venezia Giulia”. Nel 1927 tutto tornerà come prima tranne i confini della Provincia goriziana dalla quale furono scorporati molti comuni assegnandoli poi alla Provincia di Udine.

Nel 1939 scoppia la seconda guerra mondiale ed il Friuli si trova nuovamente coinvolto in un conflitto bellico. Il 3 settembre 1943 l’Italia si arrese, firmando l’armistizio con gli alleati (reso noto l’8 settembre). Le truppe tedesche mossero verso l’Italia e grazie al completo crollo militare e politico riuscirono a disarmare l’esercito italiano. In Friuli penetrarono due divisioni della Wermacht occupando tutta la regione, la quale fu trasferita direttamente sotto il controllo del III° Reich con il nome di Litorale Adriatico. Seguiranno 19 mesi di lotta partigiana, fino alla liberazione che per Udine arriverà alla fine di aprile del 1945.

Ancora una volta l’industria e l’agricoltura saranno duramente colpite. Le scarse possibilità economiche saranno all’origine di un nuovo e consistente flusso migratorio diretto non solo verso i paesi europei, ma anche verso gli Stati Uniti, il Canada, l’Argentina e l’Australia.

L’Italia sconfitta, fu costretta a rinunciare all’Istria. Per il governo italiano si pose così il problema di come riorganizzare il territorio.

Con l’approvazione della Costituzione italiana nel 1947, alla regione Friuli fu aggiunta anche la “Venezia Giulia”. Tale scelta fu avversata dall’opinione pubblica friulana, che proprio in quegli anni aveva cominciato a rivendicare l’autonomia per la propria Regione. Da qualche anno si era infatti costituita l’Associazione per l’Autonomia Friulana, nella quale militavano personalità del calibro di Tiziano Tessitori, Gianfranco D’Aronco e Pier Paolo Pasolini. Da questa si staccò il Movimento Popolare Friulano, il cui obiettivo era quello della ricostituzione integrale del Friuli nei suoi confini naturali. Entrambi i movimenti ebbero però vita breve.

Negli anni Sessanta si aprì un nuovo ed ampio dibattito nel tentativo di trovare un compromesso sul problema del territorio ma presto le rivendicazioni sull’autonomia friulana furono accantonate. Nel 1963 viene così costituita la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con capoluogo Trieste. Al territorio veniva concessa la specificità di regione autonoma al fine di garantire l’italianità della zona di confine e di Trieste. La minoranza triestina (5% del territorio e 20% della popolazione) era così riuscita a prevalere sulla maggioranza friulana.

A nulla servì, alcuni anni dopo, la nascita del Movimento Friuli che incarnò le istanze “friulaniste” per due decenni.

Nel 1968, al di là da l’aghe, viene costituita la provincia di Pordenone per distacco da quella di Udine.

La sera del 6 maggio 1976, alle 21.06, un terremoto del friuli|terremoto di intensità pari a 6,4 della scala Richter e al decimo grado della scala Mercalli colpì la zona a nord di Udine. L’epicentro fu identificato nel monte San Simeone situato tra i comuni di Trasaghis e Bordano. La scossa, avvertita in tutto il Nord Italia, provocò la morte di 989 persone ed il ferimento di oltre 3.000. I senza tetto furono 45.000, 18.000 invece le case distrutte. Il terremoto lasciò dietro di se distruzione e lutti, ma la rinascita economica e sociale, non tardò ad arrivare e fu rapida e completa.

La provincia di Udine è oggi ai primi posti in Italia per qualità di vita. L’economia regionale, è basata essenzialmente sull’agricoltura, sull’industria meccanica e su quella del mobile. L’export riveste per la regione un’importanza fondamentale: Germania, Austria, Slovenia e Croazia sono infatti i principali destinatari dei prodotti friulani (oltre naturalmente il mercato italiano).

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