Antichi Mestieri (bozza)

Antichi Mestieri (bozza)

L’industrializzazione ed il consumismo hanno contribuito alla scomparsa di molti mestieri che un tempo segnavano invece la quotidianità di comunità e famiglie. Alcuni di questi sono ormai relegati nella memoria dei più anziani; una perdita grave poichè conservare la memoria storica aiuta a comprendere meglio il nostro presente. Ecco alcuni dei mestieri tipici della terra friulana:

I Foralàris si recavano nei boschi di conifere (in particolare Abete e Larice) dove effettuavano delle incisioni nei tronchi dalle quali poi estraevano la resina. La resina ottenuta era venduta ai produttori di trementina. Da questa si ottenevano diversi “oli” tra i quali la famosa acquaragia utilizzata come solvente nell’industria delle vernici e delle pitture. Per svolgere questo lavoro era necessario avere molta pazienza ma dava, in tempi antichi, benefici economici non indifferenti.

I Sedolàrs passavano l’inverno ad intagliare mestoli ed oggetti di uso domestico che a partire dalla primavera venivano venduti porta a porta in tutta la Carnia e ben oltre. Si narra che proprio i sedolàrs, nel loro girovagare, abbiano portato in Carnia differenti varietà di alberi di melo. Le mele, infatti, erano rare e considerate una gran goloseria. Grazie ai sedolàrs, oggi la Carnia vanta la produzione di un gran numero di varietà di ottime mele.

La coltura dei Bachi da Seta (i cavalîrs in friulano) è stata per molto tempo un secondo lavoro assai redditizio. Alla cura dei bachi (si riteneva un lavoro non troppo faticoso) si dedicano in particolar modo le donne i bambini. La coltura durava all’incirca 40 giorni: dalla fine di aprile ai primi di giugno. Dopo la quarta muta si preparava il letto con paglia e frasche secche sulle quali, i bachi ormai crisalidi, salivano per fare il bozzolo. Si chiudevano così in una trama di fili d’oro. Seguiva la sbozzolatura, quindi i bozzoli erano portati alla filanda. In Friuli, l’allevamento del baco da seta è stato per molti secoli assai fiorente. Un lavoro complementare a quello agricolo che garantiva il primo guadagno dell’anno, spesso utilizzato per pagare l’affitto dei terreni o delle case. Insomma la vendita dei bachi era un grande affare, del quale si giovavano anche i bambini che come premio del lavoro prestato ricevevano solitamente un cartoccetto di gustose ciliegie. Nulla rimane di questa coltura artigianale se non qualche filare di gelso (morâr), un tempo alimento principale del baco da seta. Ulteriori informazioni sui bachi da seta sono reperibili sul sito del Museo del Baco da Seta di Vittorio Veneto.

Molte donne lavoravano quindi in Filanda. Una volta raccolti i bozzoli, questi non dovevano sfarfallare per non compromettere la continuità del filo di seta. Spettava a ragazze poco più che bambine il compito di immergere i bozzoli in acqua calda al fine di ripulirli e lasciare emergere il capo del filo. Quindi ad operai più esperti rimaneva il comito di preparare la matassa. I turni di lavoro erano assai faticosi, giornate che prevedevano fino a dodici ore di lavoro con un ora di pausa a mezzogiorno. Solo quindici giorni di assenza in caso di parto. D’altra parte si trattava del primo vero lavoro retribuito femminile. Interessante può essere la visita al Museo della Filanda di Dignano, nato per volontà di alcuni ex dipendenti della stessa filanda attiva fino alla metà del Novecento. L’esposizione è costituita da macchinari ed attrezzi che consentono al visitatore di ripercorrere le varie fasi del processo di filatura.

La Sarta (o il Sarto) era richiesta per le grandi occasioni. Per i vestiti di festa, per gli abiti di nozze in particolare. Le bambine infatti imparavano a cucire e ricamare dalle proprie madri o presso le suore. Così, gli indumenti di uso comune si confezionavano in casa ed alla sarta si ricorreva solamente di rado. Ciò nonostante si trattava di un lavoro importante che andava dalla realizzazione dei vestiti da sposa (nuvice) e da sposo (nuviç), alla biancheria della dote, ai cappotti fino agli indumenti più intimi.

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