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Carnevale in Friuli

Le maschere friulane non hanno mai avuto quella fama mondiale che invece altre località italiane, come Venezia, vantano tutt’oggi. E’ comunque certo, che già dal XIV secolo era uso, specie nelle città, mascherarsi in occasione del “giovedì grasso”. Tale pratica non era ben vista dalle istituzioni pubbliche, tanto che già nel 1340 gli eccessi venivano severamente puniti, fino con “messa alla berlina” durante i giorni di mercato. 

A Udine, alla fine del Trecento era stato istituito addirittura un corpo di vigilanza per la sorveglianza degli ultimi tre giorni di Carnevale. Proibizioni che portarono così i friulani a “concentrarsi” sul bere e mangiare. Era d’uso, nel periodo di Carnevale, fare abbuffate di fritulis e cròstui ma anche di rafioi (che potevano essere fritti o cotti al forno) e di cialzòns (in Carnia).

Qualcosa cambiò con la conquista veneziana e probabilmente le leggi divennero più libertine. In città si diffusero, così, i veglioni, mentre in periferia continuarono le “mascherate”: simil-spettacoli pubblici spesso alquanto volgari e poco castigati. Le maschere, a secondo della zona, differivano di parecchio. Nella montagna friulana, erano realizzate in legno e piuttosto pesanti da portare.

Curiosa è la figura del “Tomât” che si diffuse in quel di Reana; questo rappresentava il capo comitiva facilmente individuabile da un grosso bastone che portava sempre con se. Si ritiene fosse la raffigurazione del futuro sposo. Da qui i modi di dire: “E spiete tu il Tomât” oppure “Al vegnarà il Tomât”, riferita alle giovani ancora in cerca di marito.   

Alla fine del Settecento mascherate e veglioni venivano sempre accompagnati da musica e balli. Sovente le mascherate in piazza erano condotte da bande, provenienti anche da fuori paese. Nei veglioni, invece, “la resiana” era probabilmente una delle danze più ballate.    

Nell’Ottocento i veglioni mascherati si spostarono nei teatri sociali, e le serate saranno sempre accompagnate da orchestre.

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